“There’s a starman waiting in the sky. He’d like to come and meet us. But he thinks he’d blow our minds” – Starman, David Bowie.
Anni fa venni contattato da una madre preoccupata per il figlio ventenne. Da mesi il figlio se ne stava ore e ore nella propria stanza, usciva solo per andare a comprare del cibo, che poi consumava di nascosto. Soprattutto non interagiva più con le persone, nemmeno con i suoi familiari. Aveva interrotto gli studi, pur avendo avuto una brillante carriera di liceale. Aveva smesso di frequentare i suoi amici.
All’inizio avevo stabilito dei colloqui settimanali con la madre, che però insisteva perché andassi nella sua casa, per capire cosa stesse succedendo al figlio. Ma ero riluttante all’idea di uscire dal mio studio per recarmi al domicilio del giovane ritirato, avrei preferito continuare a seguire la madre nel suo difficile rapporto con il figlio.
Alla fine, dopo aver consultato il mio supervisore e con un certo scetticismo, mi decisi: per cinque mesi, ogni settimana, andai a casa del giovane. La madre annunciava al figlio la mia presenza, quindi si allontanava. Io restavo lì, per circa un’ora, lui dentro e io fuori dalla stanza, pressoché in silenzio, a eccezione dei miei saluti e di qualche sporadico commento.
Un giorno lo trovai in cucina e, senza proferire parola, mi offrì un latte di soia, da quel giorno iniziammo a scambiarci qualche parola, non molte a dire la verità. Per farla breve: alla fine cominciò a venire nel mio studio, in psicoterapia. Parlava. Eccome.
Non entro nel merito del caso, mi sono limitato a riportarlo perché la scelta dell’autoreclusione esige una seria riflessione sull’utilità della psicoterapia con gli hikikomori, senza dover abdicare al proprio ruolo di psicoterapeuta. Ad esempio, se adesso sembra inevitabile effettuare sedute di psicoterapia online, allora non lo era.
È vero, i tempi sono cambiati. L’attuale pandemia ha stravolto gli scenari relazionali e psichici di tutti noi, compresi quelli degli psicoterapeuti. Qualcuno potrebbe addirittura chiedersi se ha ancora senso parlare di ritiro sociale degli adolescenti e giovani adulti. Io credo di sì, specialmente ora. Ancora di più nei prossimi anni.
In generale, è possibile descrivere gli hikikomori come adolescenti e giovani adulti, di età compresa tra i 14 anni e i 25 anni, per la maggior parte di sesso maschile, che smettono di andare a scuola, trascorrono il tempo nella propria stanza e che non hanno una condotta così dirompente da attirare su di sé l’allarme collettivo (per intenderci: l’adolescente aggressivo e violento fa più notizia e viene prontamente preso in carico dai dispositivi di cura).
Al contrario, questi adolescenti e giovani adulti presentano un progressivo atteggiamento di chiusura verso le attività ricreative, scolastiche e anche nei confronti dei propri familiari. Lo fanno progressivamente, inesorabilmente, mediante un comportamento sempre più ritirato.
Spesso la loro presenza in casa è limitata ai contatti di base e, quasi sempre, è caratterizzata dall’uso di pc o console gaming. È frequente l’inversione del ritmo veglia-sonno, cioè svegli di notte e dormienti di giorno. Questa condizione di reclusione volontaria può durare anni.
Per approfondire: disturbo delle personalità borderline
La parola hikikomori può riferirsi sia alle persone in condizione di ritiro sociale sia al fenomeno del ritiro sociale. Il termine hikikomori (hiku = tirare, komoru = ritirarsi) nasce in Giappone negli ultimi anni Settanta per definire i primi casi di grave ritiro e di isolamento sociale domiciliare estremo.
È ormai riconosciuta la diffusione del fenomeno in molti altri Paesi del mondo (Nord America e Europa). Nella letteratura scientifica, non esiste un vero e proprio consenso circa la definizione e gli eventuali criteri diagnostici. Si tratta quindi di un concetto controverso e tutt’ora molto dibattuto in ambito clinico. Forse la definizione più nota e sintetica è quella elaborata nel 2008 dalla task force giapponese (Saito, 2008):
“Uno stato di evitamento del coinvolgimento sociale (ad es. scuola, lavoro, amicizie) con ritiro generalmente persistente nel proprio luogo di residenza per almeno 6 mesi come risultato di vari fattori”.
È primario se è assente una diagnosi psichiatrica concomitante, è secondario quando è presente una comorbilità. Però la comorbilità risulta essere molto variabile. Insomma, questa distinzione va considerata con molta cautela perché risente delle conseguenze del mancato consenso e dei diversi metodi di reclutamento dei soggetti per la ricerca.
A livello epidemiologico, i dati affidabili sono molto pochi e non generalizzabili. In Italia le stime pre-pandemia contano tra i 60.000 e i 100.000 casi, ma sono numeri non basati su indagini accurate. Perché ha ancora senso parlare di hikikomori, oggi e in Italia?
Inoltre mette in primo piano la centralità delle relazioni interpersonali in adolescenza, del rispecchiamento con il gruppo dei pari e del corpo sessuato della pubertà. In altre parole, impone con forza la questione cruciale relativa alla costituzione dell’identità, alla rappresentazione di sé e degli altri.
Nello specifico qual è il funzionamento mentale degli hikikomori? Qual è il dolore mentale che si manifesta nel comportamento ritirato? Si tratta della crisi di identità dell’adolescente oppure è un disagio diverso e più profondo? È l’effetto della diffusione dell’identità? È una crisi evolutiva oppure è un vero e proprio breakdown evolutivo? Sono domande essenziali per potere aiutare e comprendere chi è hikikomori.
Nel tentativo di dare una risposta e senza alcuna ambizione definitoria, provo a riassumere gli elementi clinici essenziali che hanno contraddistinto la mia esperienza di psicoterapeuta con adolescenti e giovani adulti hikikomori:
L’impressione clinica sui ritirati sociali conferma l’ipotesi della vulnerabilità narcisistica come caratteristica principale del funzionamento mentale. Ancora prima di essere un ritiro sociale, è innanzitutto un ritiro narcisistico.
Cioè è l’esito di una scelta narcisistica, che ha l’obiettivo di nascondere il proprio corpo, “per mettersi al sicuro dallo sguardo dell’altro” (L’insostenibile bisogno di ammirazione, G.P. Charmet, 2018). E in quanto tale, la psicoterapia psicodinamica è un’opzione praticabile. Anche qui, nell’isolamento emotivo degli hikikomori.
Per approfondire: cos’è il narcisismo patologico?